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domenica 23 ottobre 2016

Le aste immobiliari in Italia

Circa un annetto fa Mattia Butta ha raccontato di come in Repubblica Ceca si possa acquistare un immobile in un'asta giudiziaria con un meccanismo che ricorda ebay. 

Vi posso assicurare che in Italia non è così: la situazione di partenza può essere la stessa, ma l'esecuzione è totalmente differente.

Contemporaneamente al post di Mattia, infatti, e poco dopo l'acquisto della magione, il dinamico due è venuto a sapere che a breve sarebbe andato all'asta un terreno confinante, quindi ha ben pensato di buttarsi nell'impresa. Da bravi burocrati (ottimisticamente) o da bravi ingenui (ecco, qui ci siamo) pensavamo che sarebbe stato sì un po'complesso, ma tutto sommato non molto difficile.

Polli.

Metto subito le cose in chiaro: non abbiamo avuto problemi dovuti ad influenze terze (come può purtroppo capitare in località dove gli immobili sono molto appetibili) e tutte le persone con cui ci siamo confrontati sono state iper professionali, gentilissime e corrette. 

E'che è proprio il meccanismo ad essere complesso.

Come comincia l'avventura del Signor Bonaventura? Con la pubblicazione dell'annuncio nel sito delle Aste Immobiliari, dove si trovano i dati salienti sul bene che andrà in asta (perizia di stima e avviso di vendita).

A questo punto, se si è interessati alla visione, si prenota un appuntamento per "toccare con mano" il bene. ATTENZIONE: si può essere assititi da un professionista di fiducia al momento della visita, ma non si può fotografare nulla. 

Se si è ancora interessati dopo aver visto di persona il rudere, si ha un tempo ben definito per presentare la domanda in carta da bollo per partecipare all'asta, con una procedura dalla complessità simile a quella della costruzione di uno Space Shuttle. Pertanto molte persone si fanno aiutare da un avvocato.

Si scarica il fac simile di domanda, lo si riempie con i dati anagrafici dell'offerente (che deve essere una persona, quindi nel nostro caso la sottoscritta, mentre il Radioamatore aveva il ruolo di motivatore e coach), del prezzo che si offre (c'è una base d'asta che può essere ribassata del 25%), del tempo in cui si vuole perfezionare il pagamento, si stampa, si firma, si appone la comoda ed obbligatoria marca da bollo da 16 euro e si controlla il risultato. Al tutto, si allega una copia in corso di validità del documento e del CF dell'offerente, un simpatico assegno circolare di cauzione del valore di un decimo dell'importo offerto, si chiude il tutto in una busta e si porta alla cancelleria del Tribunale nei termini previsti dal bando.
 
Qui il solerte cancelliere registra su un magnifico librone con le cedoline da staccare la proposta (trascrivendo i dati dell'esecuzione o pignoramento per il quale si offre), protocolla e timbra praticamente ogni cosa in suo possesso in quel momento e regala la ricevuta (in caso si partecipi all'asta e si perda, la ricevuta va riconsegnata per tornare in possesso dell'assegno di cauzione).

In teoria in caso di unico offerente la storia finisce più o meno qui: il giorno dell'asta ci si presenta in tribunale all'ora convenuta, il delegato del Giudice verifica l'unicità dell'offerta e la correttezza dell'incartamento e il bene viene aggiudicato al prezzo che risulta nella documentazione. 

Nel nostro caso poteva andare così liscia? Certo che no: dopo tre aste deserte, ci siamo trovati con altri due offerenti a concorrere.

Ve la faccio breve: il triello de "Il buono, il brutto, il cattivo" in confronto è un girotondo all'asilo. Il prezzo si è alzato subito ben oltre il limite che ci eravamo posti ma, fatte le debite considerazioni, siamo andati avanti. Ad ogni offerta il delegato del giudice fa partire un timer che dà agli altri concorrenti un minuto per ribattere (ah, la vecchia e cara candela di una volta...). 

Se le vostre coronarie reggono, se il vostro budget vi permette di essere l'offerente migliore, se, insomma, come è successo per noi, risultate vincitori dell'asta, dovrete versare il saldo prezzo e le spese nel termine riportato nel bando o in quello da voi segnalato nell'offerta, con bonifico bancario o assegno circolare.

Tempo due/tre mesi (nel migliore dei casi) e vi verrà trasmesso l'atto di trasferimento. A quel punto vi consegneranno anche le chiavi.

Il procedimento è durato sette mesi. 

Il nostri sistemi nervosi ringraziano.
 
 




domenica 21 febbraio 2016

Per piccina che tu sia...

Sarete sull'orlo di una crisi di nervi più e più volte.
Penserete di non farcela.
Vi troverete sedute/i, con lo sguardo nel vuoto, dopo aver fatto un po'di conti.
Cercherete imbianchini, idraulici, piastrellisti e fabbri con lo stesso spirito di un cosmonauta che si appresta ad affrontare lo spazio.

Però alla fine sarete felici come una Pasqua.

Dopo un mese e mezzo nella nuova casa il dinamico duo si sta un po'rilassando. Gli impegni ci sono e ce ne saranno ancora, ma il grosso è fatto e il resto può essere affrontato dall'interno della magione.

Quali consigli si possono dare a persone che devono acquistare un immobile o semplicemente traslocare? Tanti, forse troppi. Dal basso della mia recente esperienza posso dare una mano anche io e condividere qualche consiglio che per noi è stato valido.

Il primo consiglio è: non fate perdere tempo alla gente. E'vero che ora c'è un surplus di case sul mercato, ma trasformare il sabato nel "giro delle case che non ci possiamo permettere e non vogliamo acquistare" è segno di scarso rispetto verso venditori ed intermediari.

Quindi partite con due certezze: quello di cui avete bisogno e quanto potete spendere (con mutuo e senza mutuo).

Decidete zona, vani, accessori (ascensore, posto auto, vicinanza al lavoro e ai servizi). Fatto questo, saprete già più o meno dove e come orientarvi. 

A questo punto le dolenti note: carta, penna, estratto conto e via con il budget (argomento che affronteremo nella prossima puntata). 

lunedì 15 febbraio 2016

Voglio andare a vivere in campagna

Downshifting. Ne ho parlato una vita fa, quando la crisi in Italia non mordeva come ora, e tutto sembrava più roseo e possibile. E oggi? Vale la pena di fare scelte così radicali? Se prima poteva essere un "Sì e no", ora stiamo andando sempre di più verso il "No" secco; di solito chi tentava la scelta di vita alternativa veniva allettato da racconti "vincenti" e di modi per guadagnarsi da vivere "alternativi". 

Per alcuni anni il leitmotif era il ritorno alle campagne, alla buona vita di una volta, all'autoproduzione. Certo. Si spende di meno (in termini di denaro, in termini di tempo e fatica è tutto un altro paio di maniche), si ha bisogno di meno soldi per vivere. Si produce e si baratta, e vai con il tango.

In tutto ciò c'è un solo, sottile problema di fondo. I soldi servono. Servono per le medicine ed i servizi sanitari (andiamo terra terra su uno dei problemi maggiori della crisi economica, il costo della salute), servono per pagare le bollette, se non si è in possesso di casa e terreno servono per i mutui, o per i prestiti per creare un agriturismo/B&B biologico (attività agognata nella decrescita felice).
I soldi servono perché il montante contributivo non si fa da solo, e se si passa un anno, due o tre come paladino del ritorno alla terra (garantito al limone, per più tempo non ce la si fa se non si ha almeno un membro del nucleo familiare con un lavoro stabile e decorosamente retribuito), questo buco si vedrà pari pari nella pensione; per di più anche una sola settimana come autonomo influisce sull'intero metodo di calcolo della pensione in maniera sostanziale. 

Qualcuno, di solito il genitore che è andato in pensione ed ha preso la liquidazione, può aver fornito il gruzzolo per attivare l'azienda; i dati anche qui sono scoraggianti, perché si è fortunati se si supera il traguardo del secondo anno di vita. Agricoltura? Leggete questo, fa aprire bene gli occhi. 

Signore e signori, parliamoci chiaro: i sogni sono belli, ma la realtà è dura. 

mercoledì 23 dicembre 2015

A caldo

La famiglia Skywalker è composta da un branco di emeriti fagiani. 

domenica 13 dicembre 2015

Economics for dummies: corollario bis

Io non sono in grado di investire in autonomia tutto il mio ABBONDANTE (ah, ah, ah) patrimonio, quindi devo per forza di cose appoggiarmi ad una banca o ad un promotore per piazzare parte dei miei dobloni e marenghi, quelli che metto da parte per la vecchiaia.

Io non sono in grado di investire da sola perché non ne ho la capacità professionale, però seguo tre regole che mi hanno inculcato sin da piccola:

- Nessuno è tuo amico quando si tratta di gestire i tuoi soldi
- Non si punta mai su un solo cavallo quando si investe
- Se sembra troppo bello per essere vero, è veramente troppo bello per essere vero

Io vengo da un paesone: né città, ne villaggio, un paio di decine di migliaia di abitanti, vicino ad una grande città, terra di pendolari del terziario avanzato e di agricoltura. Vengo da un paesone che ad un certo punto della sua trimillenaria esistenza non c'era più. Sparito in mezz'ora, assieme a troppi abitanti, in uno di quei momenti in cui ci si trova storicamente nel posto sbagliato al momento sbagliato.  

Quel paesone lo hanno ricostruito, in quel periodo che ci si ostina ad osannare come quello del boom economico, e va anche detto che tutto sommato è ritornato alla luce in maniera abbastanza sensata, a differenza di tanti altri. Chi lo ha ricostruito? Gente del posto, di solito costituita in un terzetto: l'ingegnere, il capomastro e lui, il mitologico direttore di banca. Quello che aveva autonomia assoluta su quanto, a chi e come prestare il denaro. Il direttore della banca locale, quella "del territorio", con cui magari si è andati alle elementari assieme. 

Gli anni sono però passati e dai rampanti anni ottanta le banche del territorio si sono o trasferite o sono state inglobate in grossi gruppi, e il direttore tanto carino si è trovato con molta meno autonomia già alla fine degli anni novanta (la vicinanza con la grande città ci ha messo del suo...). In alcuni paesi vicini no, bastava allontanarsi da grandecittà e le banche rimanevano piccole e del territorio, col direttore e i funzionari del posto, tanto amici, tanto gentili, che aiutavano gli ingegneri, i capomastri e gli artigiani locali con il vezzo dell'industriale in erba.

Ed in tanti paesi è stato così fino a ieri, nord, centro e sud, nei piccoli distretti industriali del tessile, del jeans, delle scarpe e degli occhiali, delle case da tirar su per i figli e per sé stessi e se i soldi non bastavano per il capannone o per il patio nessun problema, c'erano il direttore tanto amico e il funzionario tanto gentile. Che poi qualche direttore ti ricevesse la sera, in orario di chiusura, per presentarti ad un suo amico che poteva darti il credito che cercavi e per cui non avevi nessuna garanzia, bhé, poteva capitare, e se il tasso d'interesse non era proprio vantaggiosissimo bisognava pur accettarlo. Oppure ancora meglio, perché non comperare un pezzetto della banca? Piccolo o grande, non contava, tanto i soldi te li prestavano anche per quello, un doppio affare: mutuo agevolato per quello che serviva, prestito agevolatissimo per comperare il pezzetto di banca ed affermare che la banca del territorio, quella che dava prestigio al paese, era anche un po'tua. E l'economia andava, andava, cresceva, cresceva, e se agli inizi degli anni duemila frenava un po' per la concorrenza, c'era sempre l'Euro a cui dare colpa, e ben presto tanto tutto si sarebbe aggiustato. In America c'era la crisi dei mutui subprime? Cosa importava? La banca grande aveva iniziato a rafforzare il suo patrimonio chiedendo i rientri ai debitori più in bilico? Nessun problema, la banca locale aveva le braccia ben aperte ad accoglierli, a vendere loro un pezzetto e a prestare altro denaro. L'azienda non va più? Servono liquidi? Non c'è problema, hai tanti pezzetti di banca, sei uno di quelli che siede al tavolo dei grandi e che decide a chi dare e a chi non dare linee di credito, vuoi che non te ne accordiamo una favorevolissima, anche se la tua ditta fallirà di lì ad una settimana? E se la banca del territorio del paese vicino si sta comportando come una banca grande ed ha ripulito il portafoglio cosa importa? Lo sappiamo che quelli lì hanno la puzza sotto il naso e si credono importanti. Venite qui, vi daremo una mano, vi chiamiamo a casa, cosa ci fate con quel conto corrente che non rende nulla? Abbiamo un prodotto nuovo, un pezzetto di banca, avete visto come diventerete importanti? Tutti i fogli da visionare? Non ti preoccupare, roba burocratica, vedi le crocette, basta una firmetta, non ti preoccupare, andavamo alle elementari assieme, ti ricordi? E'bello il tuo capannone, quanti operai?


Nord, centro e sud. 

Fin quando ci si è resi conto che i pezzetti di banca, quelli che rendevano il 5% quando gli investimenti davano sì e no il 2% e che aumentavano il valore di anno in anno, in realtà erano basati su crediti oramai inesigibili e che il direttore tanto amico e il funzionario tanto gentile erano stati spinti a vendere carta straccia basata su aziende in fallimento o immobili invendibili.

Nord, centro e sud. Siamo solo all'inizio. 

- Nessuno è tuo amico quando si tratta di gestire i tuoi soldi
- Non si punta mai su un solo cavallo quando si investe
- Se sembra troppo bello per essere vero, è veramente troppo bello per essere vero

Siamo solo all'inizio

mercoledì 11 novembre 2015

...oppure no. Dipende dal Funzionario RAI

Come non potevo non raccogliere un input del genere? IoMe che inizia a parlare di pattume televisivo è per me l'equivalente della possibilità di scofanarmi chili e chili di gelato artigianale di quello buono: un'occasione imperdibile.

L'Economa ha passato la sua intera infanzia davanti alla TV vedendo una buona dose di feccia e Quark. Tanto Quark. Però oggi non parleremo di Quark.

Parleremo di un fatto televisivo avvenuto in un periodo buio, tremendo, della storia d'Italia: rapimento Moro, 16 marzo/9 maggio 1978 (a proposito, qualcuno ricorda il fantastico Blob che seguì gli avvenimenti giorno per giorno partendo da una settimana prima? Mi sembra che fosse stato programmato per il ventennale ed era eccezionale, dividendo la TV in un "prima" e un "dopo").

Gli italiani in quei giorni avevano una bella serie di cavolacci amari a cui pensare, anche alle 18,45 del 4 aprile 1978, anche quelli che si erano sintonizzati sulla nata da poco Rete 2, anche quelli che guardavano Buonasera con..., un contenitore, come si definiva allora, di telefilm e cartoni animati. Quella sera Maria Giovanna Elmi, la Fatina, si vide costretta ad affermare che avrebbero trasmesso "Particolari cartoni animati". Usi all'animazione statunitense ed italiana gli ignari, giovani spettatori che alle 18,45 del 4 aprile 1978 si erano sintonizzati su Rete 2 stavano per vivere la nascita di una nuova era: la trasmissione di Atlas Ufo Robot Goldrake. 


Taaa Daaan! Vi aspettavate Candy Candy, vero?


Partiamo dal nome. Goldrake in realtà non si chiamerebbe Goldrake, ma una roba come UFO Robo Gurendaizā, da cui l'inglese Grendizer. Goldorak era il nome francese, perché dalla Francia importammo il cartone, i nomi dei personaggi ispirati all'astronomia (ed il casino fotonico sul personaggio di Alcor/Koji Kabuto che approfondiremo a breve), ed anche la cantonata sul titolo. Agli acquirenti italiani fu presentato un riassunto dell'opera (in francese atlas) dell'UFO Robot; i Funzionari RAI credettero che fosse quello il nome del cartone animato, Atlas UFO Robot (l'UFO è la navicella del Robot, il disco volante). Goldrake era un sovrappiù.

Comprato il prodotto, bisognava occuparsi delle sigle: fu scelto uno che passava musicalmente di lì per caso (ovviamente sono ironica), Vince Tempera. Assieme ad altri due burloni come Luigi Albertelli (vincitore di Sanremo 1969 con Zingara ed autore in seguito anche della sigla di Dallas) e un altro "musico" di Guccini, Ares Tavolazzi (e si capisce ora perché i giri di basso di tutto il concept album di Goldrake siano ancora oggi fonte di stupore), il povero Tempera dovette improvvisare testi su "Razzi missili" e "Flotta di Vega", perché, come quasi tutti quelli coinvolti nel piano Goldrake, non ci stava capendo un piripicchio data la fretta impostagli e l'originalità del cartone. Dirà poi in un'intervista televisiva di aver fatto più soldi con Goldrake in un anno che in tutto il resto della sua carriera. 

Ma chi c'era in Giappone dietro Goldrake? Un autore trentenne all'epoca della realizzazione del nostro: Go Nagai. Nagai nel 1972 con Mazinga Z introduce il genere Mecha, in cui un robottone viene comandato da un umano. Il risultato in patria è epico (termine non casuale, nei mecha di Nagai troviamo un incrocio di miti che va dai micenei allo scintoismo), un successone che convince la Toei a dare un seguito al cartone: Mazinga, del 1974, evolve i temi mantenendoli nello stesso universo creativo. Quindi il nipote del professor Juzo Kabuto creatore di Mazinga Z, passerà dalla prima alla seconda serie, per arrivare nel 1975 alla terza: Goldrake, appunto. Mentre però in Giappone il povero ragazzo mantiene il suo nome in santa pace, in Italia inizia ad avere delle crisi esistenziali non da poco, dato che in Mazinga Z è Ryo, in Goldrake è Alcor e solamente in Mazinga può usare la sua carta di identità senza essere tacciato di sostituzione di persona. 

Il successo di Goldrake in Italia è comunque a livello di mania assoluta, tanto che in un breve lasso di tempo fummo invasi non solo dalle flotte di Vega,con tanto di interrogazioni parlamentari e richieste di interruzione del pericoloso programma, ma anche da Jeeg Robot d'acciaio, dai due Mazinga e da tutto il resto dell'animazione giapponese. Dati i danni intellettivi permanenti dovuti alla visione di Goldrake riportati dall'Economa e dall'Economafratello, forse non avevano tutti i torti a ritenerli pericolosi.

Note di costume
  • Una delle maggiori accuse mosse ai Mecha fu quella di un massiccio utilizzo dei computer per la loro realizzazione. La Toei fece notare che nel 1975, anno di realizzazione di Goldrake, erano tecnologie troppo costose e sofisticate per loro, non avendo nemmeno un word processor (o un aspirapolvere) a disposizione.

  • Goldrake in Giappone fu un mezzo fiasco, a differenza dei due predecessori; unico successo, il merchandising, anche grazie all'astuto trucco di creare il robot in base ai giocattoli da vendere, con una figura meno slanciata, ma più stabile (le gambe "a colonna dorica", per intenderci). 

  • Per la serie miti televisivi trasmessi per la prima volta in un periodo drammatico: il primo episodio di Doctor Who fu trasmesso dalla BBC sabato 23 novembre 1963. Pochi se ne accorsero. 


 

domenica 25 ottobre 2015

La morte della finanza personale? Sì e no

Cosa sta facendo il duo Economa&Radioamatore in questi giorni? L'impianto elettrico, sostanzialmente, ma anche scoperte fantasmagoriche tipo che il pavimento di casa non era in piastrelle, ma in cotto fiorentino. 

Il duo visiona, compara, studia, compra su internet con risparmi del 40%, compra in negozio quello che è meglio toccare con mano, e non vede l'ora che i lavori siano finiti per traslocare. Il fatto che siano in possesso virtuale della sola cucina potrebbe terrorizzare i più, ma non noi.


L'Economa inoltre non riesce a togliersi dal cervello il ritornello di Pressure off, e non è bello, perché non le succedeva dai tempi di White Lines (che ha anche il video stilisticamente simile), poi si è resa conto che sono passati venti anni ed ha avuto una crisi esistenziale. 

A parte questo, entriamo in argomento prima che il titolo rientri nella categoria "Picture is unrelated": qualche giorno fa, prima di crollare alle nove di sera, l'Economa ha letto un articolo, ripreso da Dagospia, ma originariamente su "Il venerdì di Repubblica". Il pezzo riguardava i guru della finanza personale statunitensi (di cui ho letto soprattutto i blog, in passato), spuntati come funghi durante i primi anni della crisi (triennio 2007/2010, in sostanza) e le cui tecniche pare che alla lunga distanza si siano rivelate fallimentari (poco scientifiche e troppo faticose, in sostanza).

Allora ho deciso che è giunto il tempo di ritornare sull'argomento finanza personale in maniera più frequente. Perché da quando ho iniziato il blog sono cambiate, economicamente e socialmente parlando, tante, troppe cose e quello che poteva sembrare un problema lontano si è avvicinato prepotentemente aggredendo un sistema, quello italico, ancorato ad un modello che si sta disgregando.

Avevo accennato a qualcosa qui, ma mi sono resa conto che dobbiamo ancora parlare.

E ora scusate, vado a contare i buoni Amazon presi con i sondaggi perché voglio fare qualche acquisto on line. Mica crederete che abbia rinunciato a concorsi e campagne varie, vero?

domenica 27 settembre 2015

Lista delle cose da fare

... a parte progettare un viaggio su Marte, praticamente di tutto. Help.

mercoledì 12 agosto 2015

Sono cose della vita

"Parva, sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed non sordida: parta meo sed tamen aere domus"

domenica 9 agosto 2015

Frances Oldham Kelsey

Il 7 agosto è morta, a 101 anni, una grande donna. Di poche persone si può dire che abbiano cambiato il mondo. Lei lo fece. 

Frances Oldham Kelsey nacque in Canada nel 1914, si diplomò a 15 anni e nel 1936 aveva già ottenuto la laurea in farmacologia; il suo nome ingannò un professore (che la prese per maschio) e divenne ricercatrice nella stessa materia. Nel 1937 fu invitata dalla FDA (la Food and Drugs Administration) ad occuparsi delle morti probabilmente legate ad un elisir allora molto popolare; contribuì a dimostrare che almeno 107 persone erano morte poiché nell'Elisir Sulfanilamide era contenuto il glicole dietilenico in funzione di solvente. Inizia a studiare le sostanze teratogene, cioè capaci di alterare lo sviluppo dei feti. Nel 1942 la seconda guerra mondiale veniva spesso combattuta in località in cui impazzava la malaria; Oldham Kelsey viene coinvolta negli studi sugli antimalarici, scoprendo che possono superare la placenta. Nel 1960 arriva alla FDA ed ha il primo incarico: studiare l'eventuale tossicità di un blando tranquillante, la talidomide, già in commercio in Europa e in Canada. La causa farmaceutica preme molto per un'approvazione rapida, in fondo il medicinale è stato rilasciato a fine 1956 in Germania, ma Oldham Kelsey frena. Qualcosa non le torna. La casa farmaceutica per ben sei volte fa orecchie da mercante alla richiesta di studi sulla non tossicità della talidomide, e Oldham Kelsey, i suoi assistenti part time e la stessa FDA decidono di intensificare le ricerche. Fino a quel momento non si pensava che un farmaco assunto in gravidanza potesse raggiungere il feto, ma nel 1957 era uscito uno studio sulla sindrome pre natale da alcool; Oldham Kelsey, grazie alla sua esperienza sugli antimalarici, che avevano un meccanismo d'azione simile al tranquillante, collega l'inspiegabile numero di bambini focomelici nati dal 1957 al 1960 in alcuni paesi al fatto che lì la talidomide fosse già commercializzata e consigliata alle donne in stato di gravidanza per prevenire la nausea mattutina.

Frances Oldham Kelsey ci aveva visto giusto.

La FDA non diede mai il nulla osta alla commercializzazione della talidomide che fu ritirata dal mercato tra il 1961 e il 1962 dopo la pubblicazione di studi che ne confermarono la teratogenità. Purtroppo nel giro di cinque anni circa 10.000 bambini avevano subito gli effetti del farmaco. Il 50% non era sopravvissuto al parto o era morto nella primissima infanzia. Per gli altri, i danni andavano dalla focomelia alla malformazione di occhi, apparato uditivo, apparato cardiaco e apparato urinario. 

Frances Oldham Kelsey ha lavorato alla FDA fino al 2005; rimane celebre la foto della sua premiazione del 1962, in cui il presidente Kennedy sorride alla signora che stringe il manico della sua borsetta. La signora che ha salvato migliaia di vite e ha cambiato il mondo.

domenica 26 luglio 2015

Delle cose che succedono in montagna

Vi ricordate la storia della medusa? Oggi ho fatto il bis. Con una vespa.

sabato 25 luglio 2015

Economics for dummies: corollario

La mia amichetta di blog Iome, che sull'argomento è molto più ferrata della sottoscritta, ha pubblicato qualche giorno fa un bellissimo (come al solito) post sulla bozza di accordo greca.

L'ultima, magistrale, parte parla dei problemi del sistema pensionistico greco, e su come politiche scellerate in tal senso portino a gravissimi problemi di squilibrio nei conti pubblici. Volevo aggiungere qualche postilla, perché l'argomento, anche in Italia, dovrebbe essere seguito dalla maggioranza della popolazione (la 'ggente) con più consapevolezza.

Qualche mese fa l'Inps ha annunciato un nuovo applicativo, molto interessante: La mia pensione. E'un simulatore che permette ai cittadini di misurare, spannometricamente e con parametri fin troppo favorevoli, quale sarà il proprio trattamento al momento di ritirarsi dal lavoro.

Per avere i risultati di questa operazione, per il momento dedicata solamente agli iscritti alla gestione privata, bisognerà aspettare qualche mese, ma l'intento è interessante e lodevole. Far capire alle persone che andranno in pensione con il sistema contributivo, o il misto, come funzionerà il calcolo andrebbe tatuato in cinque lingue compreso l'etrusco nei cervelli dei lavoratori.

IoMe ha ben descritto le pensioni greche e come, a differenza delle italiane, siano state riformate in maniera blanda o nulla; quello che voglio aggiungere io è come l'abitudine a pensioni concesse grazie a norme sin troppo favorevoli abbia creato una mentalità, ancora ben radicata, diffusissima anche da noi. Una mentalità dannosissima, soprattutto per i giovani.

IoMe lo ha ben detto: tantissimi italiani prendono circa 500 euro al mese, la cosiddetta minima, ma quali sono i fenomeni che hanno portato a questo? 

Chi è il pensionato con la "minima"?

Ci sono varie tipologie: che ne dite dell'artigiano che prima dell'obbligo del minimale contributivo ha versato cifre irrisorie per pochissimi anni? Dei dipendenti statali che allo scattare dei 19 anni, 6 mesi e 1 giorno (o 14 anni, 6 mesi e 1 giorno se donne con prole) hanno fatto un bel "CIAONE" e se ne sono andati a casetta? Delle donne che grazie al supporto dei Consorsi Agrari e al possesso di un fazzoletto di terra o bosco sono andate in pensione dopo aver versato DUE anni di contributi? Persone che hanno ottenuto un'invalidità civile o pensionistica grazie ad una legislazione e a dei parametri molto, molto, molto all'acqua di rose? Volete che continui? Posso farlo, uh se posso.

Grazie a questi fenomeni, nell'opinione comune si è creato un mito: tutti hanno diritto ad una pensione, anche la sociale, di almeno 500 euro al raggiungimento dell'età prevista dalle leggi. Col piffero. La pensione te la danno se ne hai i requisiti, previdenziali (contributi versati) o assistenziali (situazione socio economica).

Partiamo dalla pensione sociale, o assegno sociale per essere corretti: i requisiti reddituali (e, da qualche tempo, patrimoniali), sono molto stretti e per ottenere questa prestazione assistenziale (cioè slegata da qualsiasi tipo di versamento contributivo) bisogna di mostrare di essere praticamente alla canna del gas. Se parlate con un vostro parente over sessanta, affermerà con letizia che Tizio, Caio e Sempronio hanno "la sociale". Bhé, nove su dieci hanno un'integrata al minimo ottenuta con le leggi di cui sopra e oggi non avrebbero i requisiti né per l'una né per l'altra. 

Ah, l'integrata al minimo. Scordavo. L'integrazione al minimo non esiste nel sistema contributivo puro. Usando lo spannometro, un artigiano che versa il minimale contributivo per i canonici quaranta e rotti anni potrebbe andare in pensione con una cifra dai 400 ai 600 euro. Se la coniuge non lavora e l'artigiano pensionato viene a mancare, la reversibilità va calcolata, secca, su quella cifra. 

Oggi mi fermo qui, in attesa di vostri eventuali commenti. La prossima volta parleremo di un altro vizio italico (ma anche greco e spagnolo) che ha già oggi grosse conseguenze e ne avrà in futuro.


venerdì 10 luglio 2015

Delle cose che succedono al mare

Mi sono seduta su una medusa.

sabato 20 giugno 2015

Quella storia del curriculum sempre pronto....

L'ego dell'Economa è alquanto voluminoso (tale da occupare interi magazzini e capannoni), soprattutto per la sua convinizione di essere la persona più organizzata del mondo. 

Le sue doti di casalinga lasciano molto, molto, molto a desiderare (anche se nel piano di miglioramento che mi sono posta e di cui vi parlerò a breve la faccenda è stata minuziosamente analizzata e ricalibrata), ma quando si parla di burocrazia, di solito si erge, vestita da come Julianne Moore nella scena onirica del "Grande Lebowski" (vi ricorda niente? Aiutino, una pubblicità in giro attualmente) e afferma sicura "Già l'ho fatto".

Documenti della dichiarazione dei redditi? Pronti a gennaio.
Bollette? Archiviate certosinamente con allegate ricevute di pagamento.
Scadenze, F24, pastoie? Roba da dilettanti.
Il curriculum? Sempre aggiornat..... Ooooops.

Qualche giorno fa l'Economa doveva presentare in tempi stretti un curriculum (di cui già prevedeva un utilizzo del modello "10 piani di morbidezza", ma presentarlo sciatto pareva brutto) e lallera lalera pensava che fosse pronto, bello, con la sua bibiliografia tutta a posto e scintillante nella sua completezza. 

Col fischio. 

Tre giorni a ritrovare il bandolo della matassa tra mezzi curricula sparsi tra chiavette e PC, posta elettronica, fogli excel di pubblicazioni e convegni e siti internet irraggiungibili. Nervosismo alle stelle e Radioamatore con l'occhio del Gatto con gli Stivali.

Ora il curriculum è veramente aggiornato (quindi sicuramente manca qualcosa)  e sono ferramente decisa a mantenerlo tale, anche se rimarrà inutilizzato.


E il piano di miglioramento? Il seguito alla prossima puntata!

domenica 10 maggio 2015

E'primavera...

Ci sono, ci sono. Molto, molto, molto incasinata, ma ci sono. 

domenica 29 marzo 2015

Cita-un-libro, #ioleggoperché7

Una dama dell'epoca hejan, Murasaki, è il direttore d'orchestra dell'odierno round di #ioleggoperché.

Essendo il tema odierno "La Morte", mi affido al caro, buon vecchio Luigi:


venerdì 20 marzo 2015

La settimana etica: Col ghigno e l'ignoranza

A volte le cose più belle emergono da uno spunto. La Settimana dell'Etica e della Morale, da un'idea di IoMe, sta creando in tanti piccoli blogger un percorso di riflessione.

Un'Economa ogni tanto se lo chiede: "Perché lo fai, disperata ragazza mia?". 

Perché non te ne freghi, e lasci che la vita scorra senza troppi pensieri?

Perché in un contesto in cui lo Stato è visto come un nemico astioso che pretende il rispetto delle regole o come una vacca da mungere in maniera indefinita tu quelle regole ti impegni per rispettarle (in primis) e farle rispettare (con una certa energia, oserei dire).

Perché il lavoro lo vuoi fatto bene, pulito, tracciabile, insindacabile, quando tanti lo eseguono alla "Va' là Peppone" e la notte dormono bene lo stesso?

Perché invece di stravaccare il regal deretanone sul divano ed affondarsi, a seconda della giornata, in libro a scelta o loop di programmi di cucina (o documentari) stai lì a studiare, limare, perfezionare, aggiornarti? 

Molto semplice. Perché così io sto bene. 

Sto bene perché ho fatto il mio dovere e grazie al mio dovere ho reso la vita più facile a qualcuno. O, molto spesso, più difficile (e vi posso garantire che di questa mia attività sareste anche voi molto soddisfatte/i).

Sto bene perché io sto facendo in modo che tante, troppe persone possano beneficiare di un diritto nella maniera più equa ed insindacabile possibile: in base alle norme. Non in base alle conoscenze, non in base ad una fila saltata, non in base ad un piacere fatto o ricevuto. 

Sto bene perché la sera vado a dormire nella piena consapevolezza di aver fatto del mio meglio, con tanti errori, tante omissioni, ma sicuramente con dignità e serietà.

Sto bene perché non ho curato il mio giardinetto, non ho curato nemmeno quello di amici, parenti e affini, ho curato quello di una collettività. Un giardinetto che fino a qualche tempo fa era secco e incolto, e su cui ora spunta qualche aiuola fiorita ed armonica. Un giardinetto dove possono giocare i bambini e riposare gli anziani, passeggiare gli adulti e riposare i ragazzi. 

Un giardinetto che non sarà mai perfetto, lo so, ma che ogni tanto qualcuno guarda dicendomi: "Però, non me lo sarei aspettato così migliorato". 

Un giarinetto che vorrei nessuno frequentasse, ma purtroppo è sempre pieno di gente. Ed è il mio dovere farlo trovare fiorito.

domenica 22 febbraio 2015

Cita un libro #ioleggoperché



E tutti a casa di ellegio per continuare con #ioleggoperché

domenica 15 febbraio 2015

Telefonate e libri neri

"Pronto, scusi, qui è la TiempoNord, lei ha partecipato al concorso Nivea?"

L'incipit della telefonata è uno di quelli che fa sfregare le mani all'Economa (il che, quando si è nel bel mezzo di una telefonata, non è punto facile), ma stavolta non è andata così. Perché la telefonata la ha ricevuta (rullo di tamburi e fiato alle trombe, Turchetti) il Radioamatore. Che si è affrettato a sussurrare "E'la TiempoNord!" all'Economa che lo osservava curiosa. 
Com'è, come non è, in estrazione finale il signor Radioamatore Ladino è risultato vincitore di un'ulteriore carta spesa da cinquanta euro. 
Attimo di entusiasmo generale e si torna alle consuete attività. Passa un quarto d'ora e squilla il telefonino dei concorsi dell'Economa (breve spiegazione: l'Economa si è recentemente dotata di telefonino di ultimissima generazione, ma ha sempre con sé un vecchio Nokia scassone indistruttibile, regalo del Radioamatore di parecchi anni or sono, dotato di sim-muletto ed utilizzato quasi esclusivamente per concorsi a premio): vi dico solo che quando ha capito chi fossimo, la gentilissima addetta della TiempoNord si è messa a ridere. Altri cinquanta euro. 

Dovete sapere che per il progetto del "gruppo del fare" la sora Economa ha deciso di mettere nero su bianco la sua attività concorsistica 2015 e di fare le cose benino. Quanto ho investito, quanto ho eventualmente vinto, cosa ho ricavato, il tutto scritto sul libro nero di cui abbiamo una diapositiva. 





L'arguto osservatore noterà che trattasi di agenda 2014 (se una nasce tirchia, rimane tirchia); noterà altresì le parole "Vallelata Ciuffo" accanto al numero magico 11. Ecco, questo è il rovescio della medaglia del concorsista. Avevo investito parecchio in un concorso contabilizzato 2014 che ritenevo abbastanza facile da vincere (in palio c'erano 30 tablet Samsung Galax): le caratteristiche erano a me favorevoli. Il prodotto lo consumiamo (in effetti è un buon fiordilatte industriale), il concorso era riservato ai prodotti dei negozi di prossimità (quindi meno partecipanti) e si dovevano spedire le prove d'acquisto (quindi sbattimento di preparazione, ergo meno concorrenza). 

11 buste. 11 bellissime buste, una diversa dall'altra. 

Avessi vinto un tablet. Manco mezzo.  Dato che nel giro dei concorsi le vincite sono uscite, trattasi della famosa sfiga fotonica che ogni tanto capita. Questo per rendere chiaro che nella vita del concorsista non tutto è facile e, soprattutto, bisogna contabilizzare perdite e vincite (non come fanno alcuni giocatori che rendono pubbliche solo le seconde).

Se ve lo chiedete sì, il Radioamatore si sta facendo delle grasse risate. Ma non demordo: in settimana giro acquisti per altro concorso, con una carta prepagata vinta nel 2014. Prodotti abbastanza cari, ma per cui ho già messo in moto la macchina dei coupon!

 

sabato 14 febbraio 2015

#ioleggoperché

#ioleggoperché

#ioleggoperché lo faccio con estrema soddisfazione da quando avevo quattro anni
#ioleggoperché mi piace, e lo grido ai quattro venti
#ioleggoperché tra saltare un pasto e saltare un libro, incredibilmente preferisco la prima ipotesi
#ioleggoperché chi mi disturba mentre leggo rischia le penne

E per l'iniziativa, vi rimando alla 'povna che in queste cose è molto più brava di me!