venerdì 6 febbraio 2015

Critica letteraria Economa: Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi Di Lampedusa

"They are coming to teach us good manners, but they wont succeed, because we are gods"

Così spiega Fabrizio Corbera, Principe di Salina, le ragioni del mondo dei grandi nobili siciliani che sta finendo. Lo spiega ad Aimone Chevalley di Montersuolo, grigio ed onesto funzionario savoiardo che vuole offrirgli un posto da Senatore.

L'incontro tra due mondi a Donnafugata è una delle tante scene magistrali che formano "Il Gattopardo", romanzo affascinante sia per la sua genesi editoriale che per il suo gigantesco protagonista. Fu Giorgio Bassani, su consiglio di Elena Croce, a volerne la pubblicazione presso Feltrinelli, dopo che Vittorini lo aveva bocciato; l'autore Giuseppe Tomasi di Lampedusa era morto poco tempo prima, passando gli ultimi mesi della sua vita a rifinire il manoscritto. Autentico nobile siciliano, mitizza nel principe Fabrizio un suo antenato; il romanzo è situato cronologicamente tra il 1860 ed il 1910 e narra la fine di un mondo che si riteneva immutabile, quello della grande nobiltà terriera siciliana.
Il crollo della monarchia borbonica per mano di Garibaldi si instaura in un momento in cui già le grandi famiglie stavano assistendo al "volo delle rondini", la vendita dei latifondi per mantenere uno stile di vita assai dispendioso; vittima del più spettacolare volo di rondini che si ricordasse in Sicilia è Tancredi, nipote di Fabrizio, il cui padre aveva devastato un immenso patrimonio.

E'Tancredi, nel primo capitolo, a pronunciare una delle battute più famose è più spesso mal ripetuta della storia della letteratura italiana: annunciando allo zio la sua decisione di unirsi ai garibaldini, afferma "Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?"

Calcolatore, opportunista, cinico, affascinante, Tancredi di Falconeri si presenta subito come una personalità forte, nonostante la sua giovanissima età, che vuole scappare al destino di decadenza del suo mondo e della sua terra; gli mancano però i soldi per affrontare il salto e un possibile matrimonio con Concetta, una delle figlie del principe Fabrizio, non gli permetterebbe l'agiatezza necessaria. Forse Fabrizio vuole bene a Concetta, se per lui è possibile parlare di affetto, e Concetta sicuramente è attratta da Fabrizio, ma è attratta come può esserlo una rigida gattopardina, ancora legata al mondo morente della nobiltà siciliana, ai suoi canoni ed ai suoi legami sconvolti da Garibaldi. In estate, quando tutto è compiuto e la Sicilia è ormai terra dei Savoia, la consueta villeggiatura estiva a Donnafugata, un feudo di famiglia, muta i destini dei protagonisti. Nella scena irrompono don Calogero Sedara, borghese affarista che approfitta della poca dimestichezza di molti nobili nel gestire i beni per creare il suo impero economico, e sua figlia Angelica. Giovanissima, sensuale più che bella, Angelica colpisce doppiamente Tancredi, con il fascino e con il patrimonio; l'educazione a Firenze l'ha resa accettabile per un'entrata in società tramite matrimonio. Anche lei cinica, anche lei calcolatrice, scorge in Tancredi il mezzo per crearsi un ruolo sociale insperabile fino a pochi anni prima. Don Fabrizio vede il crollo delle speranze di Concetta, e freddamente non interviene, acconsentendo al matrimonio di Tancredi ed Angelica; sa che il nipote può lasciare la Sicilia per una carriera politica a Roma e non vuole frenarlo. 
E'a Donnafugata che avviene il dialogo con Chevalley, che sarà ben lieto di tornare al suo operoso e povero Piemonte dopo aver annusato l'aria di morte del feudo gattopardesco, e sono pronti a partire anche Angelica e Tancredi, verso un destino di coppia mediocre ed una brillante carriera sociale. Don Fabrizio lo sa: il loro mondo vivrà sotto altra forma, ma vivrà, grazie al fiume di danaro portato da Angelica. Anche l'impresentabile don Calogero arriverà a Palermo, ingentilendo i modi rozzi ed ingraziandosi i nobili con la sua arguzia merceologica.

Il gigante, l'uomo alto due canne morirà a Palermo più di venti anni dopo, in un albergo, senza l'amata moglie Maria Stella che lo aveva preceduto. Non nel suo palazzo, non nel suo letto, non assistito dal suo medico. Tancredi, ormai brillante uomo di mondo, sarà comunque lì.

Non sarà però presente nell'ultimo capitolo del romanzo, quando tre delle gattopardine, tra cui Concetta mai sposatasi, ormai invecchiate verranno private delle reliquie della loro cappella per volere del Carinale Arcivescovo di Palermo, stanco dei capricci e della superstizione delle tre reduci. Angelica si sta preparando al cinquantesimo dell'impresa di Garibaldi a Palermo ed offre un biglietto d'onore a Concetta per la celebrazione. La memoria di un aneddoto salace che Tancredi raccontò la sera della cena a Donnafugata dove si compirono i destini del trio, aneddoto rivelatosi solo ora falso e che Tancredi aveva narrato per scoprire le reazioni delle due rivali, risveglia in Concetta i sentimenti di cinquanta anni prima. Capisce che la sua reazione irrigidita aveva spinto Tancredi a scegliere la volgare, ma viva, Angelica. Il suo mondo crolla definitivamente e non può fare altroche gettare nell'immondizia il cane Bendicò, fedele compagno del Principe durante i tumulti del 1860 e ridotto dopo cinquanta anni a inquietante presenza imbalsamata.

Due personaggi sgradevoli, Tancredi e Angelica, doppi anche quando proiettano l'immagine di perfetti innamorati durante il ballo; due personaggi lontani, Fabrizio e Concetta, il primo conscio del crollo imminente, la seconda vestale di un mondo che fu. Tanti triangoli, Tancredi-Angelica-Concetta, Fabrizio-Maria Stella- la morte, le capitali d'Italia che si susseguono nella storia di Angelica, per cui però Torino è sostituita dalla Sicilia, dal mondo da cui proviene e che non la abbandonerà mai. Il termine gattopardesco entrato nel lessico comune grazie a Tancredi, e non al giganteggiare sopra tutti gli altri, anche per perspicacia, di Fabrizio. 

Un libro da leggere e rileggere, per scoprire ogni volta diverse sfaccettature di una verità che viene sepolta non appena si manifesta. 

Con "Il Gattopardo" partecipo per la prima volta ai Venerdì del libro.



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