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Circa un annetto fa Mattia Butta ha raccontato di come in Repubblica Ceca si possa acquistare un immobile in un'asta giudiziaria con un meccanismo che ricorda ebay.
Vi posso assicurare che in Italia non è così: la situazione di partenza può essere la stessa, ma l'esecuzione è totalmente differente.
Contemporaneamente al post di Mattia, infatti, e poco dopo l'acquisto della magione, il dinamico due è venuto a sapere che a breve sarebbe andato all'asta un terreno confinante, quindi ha ben pensato di buttarsi nell'impresa. Da bravi burocrati (ottimisticamente) o da bravi ingenui (ecco, qui ci siamo) pensavamo che sarebbe stato sì un po'complesso, ma tutto sommato non molto difficile.
Polli.
Metto subito le cose in chiaro: non abbiamo avuto problemi dovuti ad influenze terze (come può purtroppo capitare in località dove gli immobili sono molto appetibili) e tutte le persone con cui ci siamo confrontati sono state iper professionali, gentilissime e corrette.
E'che è proprio il meccanismo ad essere complesso.
Come comincia l'avventura del Signor Bonaventura? Con la pubblicazione dell'annuncio nel sito delle Aste Immobiliari, dove si trovano i dati salienti sul bene che andrà in asta (perizia di stima e avviso di vendita).
A questo punto, se si è interessati alla visione, si prenota un appuntamento per "toccare con mano" il bene. ATTENZIONE: si può essere assititi da un professionista di fiducia al momento della visita, ma non si può fotografare nulla.
Se si è ancora interessati dopo aver visto di persona il rudere, si ha un tempo ben definito per presentare la domanda in carta da bollo per partecipare all'asta, con una procedura dalla complessità simile a quella della costruzione di uno Space Shuttle. Pertanto molte persone si fanno aiutare da un avvocato.
Si scarica il fac simile di domanda, lo si riempie con i dati anagrafici dell'offerente (che deve essere una persona, quindi nel nostro caso la sottoscritta, mentre il Radioamatore aveva il ruolo di motivatore e coach), del prezzo che si offre (c'è una base d'asta che può essere ribassata del 25%), del tempo in cui si vuole perfezionare il pagamento, si stampa, si firma, si appone la comoda ed obbligatoria marca da bollo da 16 euro e si controlla il risultato. Al tutto, si allega una copia in corso di validità del documento e del CF dell'offerente, un simpatico assegno circolare di cauzione del valore di un decimo dell'importo offerto, si chiude il tutto in una busta e si porta alla cancelleria del Tribunale nei termini previsti dal bando.
Qui il solerte cancelliere registra su un magnifico librone con le cedoline da staccare la proposta (trascrivendo i dati dell'esecuzione o pignoramento per il quale si offre), protocolla e timbra praticamente ogni cosa in suo possesso in quel momento e regala la ricevuta (in caso si partecipi all'asta e si perda, la ricevuta va riconsegnata per tornare in possesso dell'assegno di cauzione).
In teoria in caso di unico offerente la storia finisce più o meno qui: il giorno dell'asta ci si presenta in tribunale all'ora convenuta, il delegato del Giudice verifica l'unicità dell'offerta e la correttezza dell'incartamento e il bene viene aggiudicato al prezzo che risulta nella documentazione.
Nel nostro caso poteva andare così liscia? Certo che no: dopo tre aste deserte, ci siamo trovati con altri due offerenti a concorrere.
Ve la faccio breve: il triello de "Il buono, il brutto, il cattivo" in confronto è un girotondo all'asilo. Il prezzo si è alzato subito ben oltre il limite che ci eravamo posti ma, fatte le debite considerazioni, siamo andati avanti. Ad ogni offerta il delegato del giudice fa partire un timer che dà agli altri concorrenti un minuto per ribattere (ah, la vecchia e cara candela di una volta...).
Se le vostre coronarie reggono, se il vostro budget vi permette di essere l'offerente migliore, se, insomma, come è successo per noi, risultate vincitori dell'asta, dovrete versare il saldo prezzo e le spese nel termine riportato nel bando o in quello da voi segnalato nell'offerta, con bonifico bancario o assegno circolare.
Tempo due/tre mesi (nel migliore dei casi) e vi verrà trasmesso l'atto di trasferimento. A quel punto vi consegneranno anche le chiavi.
Il procedimento è durato sette mesi.
Il nostri sistemi nervosi ringraziano.
Abbiamo iniziato a parlare del delicatissimo momento in cui la follia prende il sopravvento nella vita delle persone e si decide di acquistare un immobile.
In questo post parleremo di un problema cruciale a cui è appesa di solito tutta la faccenda: i soldi.
Dovete mettervi lì, con carta, penna, buste paga ed estratti conto vari, e fare un quadro completo, reale e affidabile delle vostre finanze (quanto disinvestire, quanto tenere come fondo d'emergenza, eccetera)
Ora avrete una somma: togliete il 20% e fate finta che non esista (fidatevi, ci torneremo dopo).
Di quello che è rimasto, un 25% accantonatelo per mobili, elettrodomestici e varie.
Ora avrete, con una buona approssimazione, la cifra base per l'acquisto di casa. A questo punto avete due scelte: fermarvi lì o andare a fare shopping bancario per il mutuo. Attualmente alcune banche fanno un tipo di offerta interessante: una proposta di mutuo valida per sei mesi che vi fornisce già una base affidabile per un budget sensato.
Attualmente un terzo delle trattative serie di compravendita immobiliare si interrompono bruscamente quando i possibili acquirenti si rendono conto che la cifra presa in considerazione per un ipotetico mutuo in realtà non viene concessa dalla banca per mancanza di requisiti. Quindi prevenire è meglio che curare.
Ora potete partire con la ricerca e verificare cosa si trova con il vostro budget nella zona di vostro interesse.
Sarete sull'orlo di una crisi di nervi più e più volte.
Penserete di non farcela.
Vi troverete sedute/i, con lo sguardo nel vuoto, dopo aver fatto un po'di conti.
Cercherete imbianchini, idraulici, piastrellisti e fabbri con lo stesso spirito di un cosmonauta che si appresta ad affrontare lo spazio.
Però alla fine sarete felici come una Pasqua.
Dopo un mese e mezzo nella nuova casa il dinamico duo si sta un po'rilassando. Gli impegni ci sono e ce ne saranno ancora, ma il grosso è fatto e il resto può essere affrontato dall'interno della magione.
Quali consigli si possono dare a persone che devono acquistare un immobile o semplicemente traslocare? Tanti, forse troppi. Dal basso della mia recente esperienza posso dare una mano anche io e condividere qualche consiglio che per noi è stato valido.
Il primo consiglio è: non fate perdere tempo alla gente. E'vero che ora c'è un surplus di case sul mercato, ma trasformare il sabato nel "giro delle case che non ci possiamo permettere e non vogliamo acquistare" è segno di scarso rispetto verso venditori ed intermediari.
Quindi partite con due certezze: quello di cui avete bisogno e quanto potete spendere (con mutuo e senza mutuo).
Decidete zona, vani, accessori (ascensore, posto auto, vicinanza al lavoro e ai servizi). Fatto questo, saprete già più o meno dove e come orientarvi.
A questo punto le dolenti note: carta, penna, estratto conto e via con il budget (argomento che affronteremo nella prossima puntata).
Downshifting. Ne ho parlato una vita fa, quando la crisi in Italia non mordeva come ora, e tutto sembrava più roseo e possibile. E oggi? Vale la pena di fare scelte così radicali? Se prima poteva essere un "Sì e no", ora stiamo andando sempre di più verso il "No" secco; di solito chi tentava la scelta di vita alternativa veniva allettato da racconti "vincenti" e di modi per guadagnarsi da vivere "alternativi".
Per alcuni anni il leitmotif era il ritorno alle campagne, alla buona vita di una volta, all'autoproduzione. Certo. Si spende di meno (in termini di denaro, in termini di tempo e fatica è tutto un altro paio di maniche), si ha bisogno di meno soldi per vivere. Si produce e si baratta, e vai con il tango.
In tutto ciò c'è un solo, sottile problema di fondo. I soldi servono. Servono per le medicine ed i servizi sanitari (andiamo terra terra su uno dei problemi maggiori della crisi economica, il costo della salute), servono per pagare le bollette, se non si è in possesso di casa e terreno servono per i mutui, o per i prestiti per creare un agriturismo/B&B biologico (attività agognata nella decrescita felice).
I soldi servono perché il montante contributivo non si fa da solo, e se si passa un anno, due o tre come paladino del ritorno alla terra (garantito al limone, per più tempo non ce la si fa se non si ha almeno un membro del nucleo familiare con un lavoro stabile e decorosamente retribuito), questo buco si vedrà pari pari nella pensione; per di più anche una sola settimana come autonomo influisce sull'intero metodo di calcolo della pensione in maniera sostanziale.
Qualcuno, di solito il genitore che è andato in pensione ed ha preso la liquidazione, può aver fornito il gruzzolo per attivare l'azienda; i dati anche qui sono scoraggianti, perché si è fortunati se si supera il traguardo del secondo anno di vita. Agricoltura? Leggete questo, fa aprire bene gli occhi.
Signore e signori, parliamoci chiaro: i sogni sono belli, ma la realtà è dura.
Non si finisce mai di imparare. Ieri infatti sono stata resa edotta del fatto che "The Wombles" è stata una serie televisiva inglese andata in onda tra il 1973 e il 1975 la cui trama era basata su degli animaletti la cui attività principe era riciclare i rifiuti.
Dato che l'Economa è culturalmente onnivora, la storia delle pantegane che vivono sotto terra a Wimbledon in una circostanza normale sarebbe stata sicuramente posizionata nel reparto "Se me lo chiedono a qualche quiz la so" del suo archivio cerebrale (che, tra l'altro, è la sezione di gran lunga più ampia del famoso archivio e probabilmente la più curata).
In realtà, il termine in Gran Bretagna ha recentemente preso un significato ben preciso: dicesi wombling il raccogliere gli scontrini abbandonati al fine di ricavarne un vantaggio economico.
Il super Womble è il signor Stephen Auker, dotato anche di interessante canale youtube.
Fin qui, sembra di parlare degli gnomi di South Park che rubavano le mutande per ricavarne un profitto: come per la biancheria intima, è alquanto difficile capire come un pezzo di carta stropicciato e spesso sporco possa regalare qualche soddisfazione in dindini. In realtà (mi dispiace signori gnomi), il sitema per ricavare denaro dagli scontrini in UK è abbastanza chiaro: i supermercati (Asda ad esempio) hanno un programma in cui se la stessa spesa (minimo otto pezzi per Asda) sarebbe stata più conveniente del 10% da anche un singolo loro concorrente restituiscono un voucher pari alla differenza di prezzo più un 10% sotto la forma di buono acquisto.
Il signor Auker, che è un pensionato, ha fatto di questo suo hobby un mestiere (ricava circa 200 sterline al mese da questa attività, ma ormai è divenuto un personaggio pubblico e penso che questo conti economicamente).
Voi direte: "E allora? In Italia una cosa così ce la sognamo, anche se usassimo solamente i nostri scontrini senza andare a raccogliere quelli zozzi in giro". Avete ragione, in effetti: da noi niente buoni spesa. Qui gli scontrini possono servire solamente per altro:
- Concorsi a premi
- Catalina
- Premi sicuri
- App con cashback
Anche senza andare a caccia dei cosiddetti "scontrini orfanelli" in giro. Bastano i vostri. Certo, se uno scontrino abbandonato nel carrello che avete appena preso al supermercato vi permette di avere un buono da 10 euro da spendere in detersivi è tutto di guadagnato (successo a me, era la Missione risparmio Dixan) vi lascio il dubbio su cosa fare, e se abitate vicino ad un negozio dell'insegna Acqua e Sapone non è raro che riusciate a guadagnare qualche buono da 25 euro per l'iniziativa Victoria Procter and Gamble. All'ora di punta i reparti dove scivola la spesa alle casse si riempiono di scontrini lasciati lì dai clienti, e li raccolgo assieme alla mia spesa e al mio scontrino. In questo modo ho potuto regalare al mio ente benefico del cuore cinque coppie di flute da champagne nuove di zecca ed imballate, perfette per la riffa: iniziativa Ferrero legata all'acquisto di pralines natalizie.
Nel blog commerciale, quindi, troverete sempre più spesso iniziative legate agli scontrini. E non scordate i Catalina!
La notizia del millennio è il ritorno trionfale nella blogosfera di LaFrangia.
So già che con questa notizia il post sarebbe già fatto, ma oggi ho deciso di rovinarvi (e rovinarmi) la domenica e parlarvi diffusamente dei voucher, o del Lavoro occasionale e accessorio. Voi direte giustamente che se ne è occupato già qualcuno più autorevole prima di me, ed avreste pienamente ragione. Però, dato che non sono una giornalista, ma un'Economa Domestica, vi parlerò dell'argomento in maniera terra terra e cattiva cattiva.
La storia del lavoro occasionale e accessorio nasce con la cosiddetta Riforma Biagi (il cosiddetta è voluto, il contributo del povero Biagi in quella riforma è tutto da discutere); il concetto è semplice e positivo, si tratta di far emergere dal nero nerissimo tutta una serie di lavori e lavoretti per cui la vera e propria assunzione è complicata burocraticamente e che hanno una durata temporale limitata. La lista di questi lavori era ridotta, ma, come si sa, la strada per l'Inferno è piena di buone intenzioni, e quindi nel 2012, con la riforma Fornero, pali e paletti sono caduti e la "platea dei beneficiari" si è drammaticamente allargata.
Ora.
Il fatto che una ragazza che per pagarsi gli studi arrotonda come baby sitter, giardiniera, raccoglitrice di mele, il ragazzo che passa i suoi pomeriggi a dare ripetizioni, il pensionato che fa lavoretti da manutentore possano tutelarsi un minimo se durante questi compiti hanno un incidente, e vogliano crearsi un minimo di montante contributivo è cosa buona e giusta. La realtà è che per come si sono messe le cose, la prima cosa è garantita, la seconda è molto più difficile da raggiungere: il cosiddetto voucher è costituito da un pezzo di carta termica dal valore di euro dieci o multipli (da nessuna parte è scritto che un voucher equivale ad un'ora di lavoro, ma per consuetudine ormai "usa così"). Di questi 10 neuri, al lavoratore vanno 7,50 euro, il resto serve a coprire i contributi Inps/Inail e l'aggio del venditore. Per il momento il discorso è lineare: la normativa copre tutta una serie di casistiche in precedenza non considerate e tutela un minimo persone che al contrario sarebbero vissute in un limbo totale.
In un mondo perfetto sarebbe finita qui; non siamo in un mondo perfetto.
Quello che non traspare è che i voucher, coprendo per definizione prestazioni occasionali e accessorie, non garantiscono una serie di diritti quali malattia, maternità, NASPI, e chi più ne ha più ne metta. Vabbé, direte voi, ma creano un montante contributivo. Sììììììì, certamente, ma, come vi ho detto, committenti e prestatori (nomi tecnici) hanno una serie di limitazioni nell'accesso a questa forma di lavoro e questo si riflette anche sulla pensione.
Fino al 2015 un lavoratore poteva arrivare ad un massimo lordo di circa 6000 euro percepiti in voucher, e un'azienda non poteva retribuire per più di 2000 euro la stessa persona con i voucher; dal 2016 i limiti si sono alzati. Capite bene che, sussistendo l'unico obbligo di registrare il voucher prima dell'inizio della prestazione (ed anche questo non è proprio proprio chiaro), il giochetto di registrare un singolo buono lavoro e retribuire il resto della giornata fuori busta sia diventato un vizietto molto diffuso e che libera i committenti da quasi tutti i rischi in caso di ispezione (è stato ribadito dal Ministero del Lavoro che l'unico limite all'utilizzo dei voucher è quello reddituale).
Il montante contributivo? Il minimo per farlo valere è di essere retribuiti durante l'anno solare per una somma pari o superiore al minimale per gli iscritti alla gestione separata: circa 1.100 euro. Ora, dato il concetto espresso sopra, capirete pure voi che le persone che riescono a raggiungere questa cifra siano più o meno quanto i panda giganti. Nella migliore delle ipotesi, sarebbero coperti sei mesi (ricordiamo il limite annuo di retribuzione in voucher) e, dando un'occhiata a come funziona la totalizzazione, capirete bene che il pensionato manutentore dovrebbe avere una serie di colpi di fortuna fotonici per riuscire ad aggiungere quanto maturato con i voucher a quanto percepisce in un'altra gestione. Sui giovani non mi azzardo nemmeno a fare previsioni.
Allora, cui prodest?
Ai datori di lavoro, chiaro, che assumeranno sempre meno stagionali (nelle zone turistiche c'è un giro di voucher impressionante ed in continuo aumento).
Ad alcuni lavoratori che sanno già che non avranno una pensione in Italia e che vogliono i soldi pochi, maledetti e subito (penso alle persone che hanno lavori discontinui nell'assistenza domestica, nel turismo e nell'agricoltura), diventati all'improvviso decisamente appetibili per un datore di lavoro.
All'ente previdenziale, che si vede sgravato dall'onere delle prestazioni a sostegno del reddito legate alle forme di lavoro dipendente in tutte le sue molteplici sfaccettature (sì, anche quello a chiamata. Sì, anche quello intermittente. Sì, anche quello in somministrazione. Sì, anche quello interinale).
Ai tabaccai e alla banca ITB, che stanno gestendo un aggio incredibile (la banca ITB era un mistero misterioso fin quando non ha iniziato a manovrare il flusso di denaro dei voucher).
Chi perde in questo gioco?
Una figura è chiara: il lavoratore medio, a cui sono state assottigliate le tutele (assottigliate è un eufemismo per azzerate, ma, come vi ho spiegato, per la facciata data a questo tipo di lavoro un minimo di protezione c'è, soprattutto per gli infortuni).
Un'altra è meno ovvia: i consulenti del lavoro e gli studi associati addetti alle buste paga. Stanno facendo fuoco e fiamme. Non esistendo più tante buste paga, la loro figura sta svanendo (in molte zone nel periodo di punta turistico e agricolo erano oberati di cose da fare, ora molto meno).
Forse mi verrà in mente qualche altra cosa sull'argomento. Per il momento mi fermo qui, in attesa dei vostri dubbi, perplessità, incertezze.